INTELLIGENZA EMOTIVA… meglio del QI?

 

Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di “intelligenza emotiva”, una competenza richiestissima dalle aziende, un concetto interessante ma non privo di problemi.

Motivazione, empatia, successo… purtroppo non è raro imbattersi in titoli sensazionalistici che elevano l’intelligenza emotiva a qualcosa di imprescindibile e assolutamente centrale per imprenditori, dipendenti, insegnanti e professionisti di ogni tipo.

E allora oggi cerchiamo di fare chiarezza, scienza alla mano, e di tenere le cose semplici: spiegheremo che cos’è l’intelligenza emotiva, quali sono i suoi punti critici e in quali situazioni può fare davvero la differenza!

 

Se sul mio articolo in cui ho parlato dell’intelligenza e del QI, che vi consiglio assolutamente di andare a recuperare quando avete finito qui, ho fatto mille precisazioni sulla complessità del tema e sulla mancanza di un consenso scientifico assoluto, ecco, qui la cosa è potenzialmente ancora più problematica.

Sì, perché se al tema dell’intelligenza si accosta quello delle emozioni, la quantità di pregiudizi, opinioni, dubbi e idee contrastanti diventa enorme, e il rischio di confondersi su che cosa sia e a cosa serva è dietro l’angolo. Proprio per questo motivo ho fatto estrema attenzione alle fonti che ho scelto per realizzare questo articolo: trovate le principali sotto, e se volete saperne di più sul mio processo di ricerca, … ho scritto un articolo pure su questo, dateci un’occhiata! 

Direi che ho dedicato abbastanza tempo alle premesse, cominciamo!

 

 

 

CHE COS’È L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Il termine “intelligenza emotiva”, nonostante sia stato reso popolare nel 1995 dallo psicologo Daniel Goleman, che ha pubblicato un libro diventato best seller internazionale proprio con questo titolo, è stato in realtà introdotto per la prima volta nel 1990 da altri due psicologi che non si ca*a mai nessuno, Salovey e Mayer.

Sono state proposte varie teorie e modelli, ma quasi tutte le definizioni di intelligenza emotiva includono almeno queste 5 caratteristiche:

  • Autocoscienza: la capacità di conoscere i propri sentimenti e usarli come guida nel prendere decisioni. Pensate ad un momento cruciale nella vita di uno studente come la scelta del percorso universitario. Certo, bisogna fare un’analisi ponderata e andare a guardare nello specifico gli esami che si dovranno affrontare, ma è innegabile che la componente emotiva giochi un ruolo importante e da non sottovalutare. Bisogna interpretare le proprie emozioni nel modo corretto, dopotutto spendere (almeno) 3 anni della propria vita in un ambiente che non è congeniale al nostro modo di essere non porterebbe a nulla di buono. A proposito, proprio sulla scelta universitaria ho appena pubblicato un articolo, vai a darci un’occhiata dopo aver letto questo!

 

  • Autogestione: il saper gestire le proprie emozioni in modo da non farsi paralizzare da stress, ansia e negatività. Sperimentare un po’ di tensione prima di un esame all’università o quando si inizia un nuovo lavoro è assolutamente normale. Quello che invece non è normale è sviluppare un perenne stato d’ansia o bloccarsi continuamente davanti ad un compito, ed è proprio qui che entra in gioco la capacità di dare il giusto peso alle emozioni.

 

  • Capacità relazionale: il riuscire a sfruttare le proprie emozioni come chiave di lettura per rapportarsi con gli altri. Non credo servano particolari esempi per capire di cosa sto parlando: tutti noi abbiamo a che fare con altre persone ogni giorno, e non è difficile notare come alcune di queste siano attente a trattare le persone in modo da non ferirle, motivarle e farle sentire a proprio agio, mentre altre sembrino sorde a tutto ciò che non le riguarda direttamente. Questo vale tanto per il capo di un’azienda quanto per uno studente di liceo. Le relazioni vanno curate. Attenzione però: dietro all’interesse per gli altri potrebbero esserci dei secondi fini, come vediamo tra poco.

 

  • Motivazione intrinseca, tenacia: il continuare a perseguire i propri obiettivi con passione prescindendo da fama e fortuna. Riprendendo l’aspetto dell’autocoscienza, è ovvio che una solida motivazione abbia bisogno di basi ben radicate: fare ingegneria perché “così si trova lavoro” non sarà sufficiente a portarvi alla fine del percorso universitario, dev’essere qualcosa che vi “brucia dentro”. E questa emozione è parte dell’intelligenza emotiva.

 

  • Empatia: l’abilità di capire i sentimenti altrui indirettamente (tramite l’espressione del volto, il tono della voce, la postura, ecc.).

 

E qui c’è subito da fare una precisazione: l’empatia non va confusa con la simpatia. Anche proprio da un punto di vista etimologico, la simpatia ha a che fare con il provare le stesse emozioni di un’altra persona, mentre l’empatia è un processo principalmente cognitivo: capire i sentimenti altrui, infatti, non presuppone l’esserne altrettanto “investiti”. Su internet si trovano dozzine e dozzine di definizioni, si dice tutto e il contrario di tutto, ma è questo che si intende nel contesto dell’intelligenza emotiva: la COMPRENSIONE dei sentimenti.

Ci tenevo a dire questa cosa chiaramente perché nell’immaginario collettivo la persona “empatica” è per forza di cose bella, brava e buona, qualcuno che entra in sintonia con il dolore degli altri e soffre con loro. Ma non c’è nulla di tutto questo nella definizione più “scientifica”.

Esiste infatti un “lato oscuro” dell’intelligenza emotiva, e cioè l’inevitabile conseguenza che una persona in grado di controllare i propri sentimenti sia migliore anche nell’arte della manipolazione dei sentimenti altrui: qualcuno potrebbe “tirare i fili” del cuore della gente per motivarla ad agire, subdolamente, contro i propri interessi. I sociologi hanno cominciato a fare delle ricerche a riguardo, e da uno studio di un professore dell’Università di Cambridge, Jochen Menges, è risultato che quando un leader fa un discorso motivante ed ispirato il pubblico è meno propenso ad analizzare il messaggio e ricorda meno informazioni riguardo al contenuto. Questo fenomeno viene chiamato “awestruck effect” (tradotto “effetto sgomento”), e riflettendoci si può arrivare alla conclusione che l’effetto persuasivo di un personaggio storico terribile come Hitler fosse dovuto alla sua abilità di esprimere le emozioni in maniera strategica, toccando i suoi seguaci al punto far smettere loro di applicare il proprio pensiero critico.

E quindi Hitler sarebbe stata una persona empatica?

Pare strano, eppure non è per nulla escluso.

 

Cambiando versante e argomento, un personaggio che ultimamente torna spesso nei miei video e articoli per criticarlo, dargli ragione o comunque parlare di quello che pensa, è Jordan Peterson, lo psicologo cognitivo salito alla ribalta mondiale. Ecco, anche lui ha parlato dell’intelligenza emotiva dichiarando addirittura che secondo lui non esisterebbe e che si tratterebbe di un concetto fumoso e scientificamente inaccurato.

Forse spingersi a negarne completamente l’esistenza potrebbe essere eccessivo, ma senza ombra di dubbio ci troviamo di fronte a un concetto controverso, non privo di criticità. Capiamo insieme il perché di tutto questo!

 

 

 

PUNTI CRITICI

Il problema principale dell’intelligenza emotiva è, fondamentalmente, lo stesso dell’intelligenza comunemente intesa: che ognuno ne dà la propria definizione quando ne parla, e allora si interpretano i singoli studi scientifici in maniera parziale, portando acqua al proprio mulino e dimenticandosi di tenere presente il quadro generale. Una definizione fumosa rende più difficile anche la valutazione: più ci si allontana da tratti specifici e misurabili più diventa difficile interpretare i dati che si raccolgono, soprattutto quando si tratta di questionari di autovalutazione in cui i soggetti degli studi potrebbero intuire la risposta “corretta” per così dire, e quindi falsare la misurazione.

Facciamo un esempio. Mettiamo che sia stata scoperta un’incredibile nuova vitamina, la vitamina X, che ha importanti benefici per la salute. Nel definirla, però, si includono alcune caratteristiche della vitamina A, B, D e K (la C no, la C non ci piace). A un primo impatto, sembrerebbe che la vitamina X sia la migliore di tutte, ma ad un’analisi più attenta ci si accorge che, in realtà, la vitamina X non esiste, perché è semplicemente un ammasso di caratteristiche di altre vitamine.

 

Lo stesso vale per l’intelligenza emotiva, ed è per questo che frasi del tipo “il quoziente emotivo è più importante del quoziente intellettivo” lasciano il tempo che trovano, perché in realtà le due cose sono più legate di quanto non lascino intendere queste affermazioni.

Infatti, secondo una metanalisi di 17 studi scientifici condotti tra il 2003 e il 2020 in 12 paesi del mondo (tra cui Italia, Cina, Israele, Canada, Spagna, ecc.), salta fuori che il QI e il QE (quoziente emotivo, viene chiamata così la misura dell’intelligenza emotiva) vanno di pari passo.

Questo perché caratteristiche come il senso di autocontrollo e la capacità di espressione a livello verbale sono trasversali. È chiaro che se riesco a definire meglio le mie emozioni sarò anche migliore nel comprenderle e nell’utilizzarle, per esempio.

 

Quindi, purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista, l’idea diffusa che l’intelligenza logica e quella emotiva siano contrapposte è smentita ampiamente dai fatti: non funziona così. Non sono nemmeno la stessa cosa eh, mi raccomando, ma sono correlate strettamente: dove c’è una, nella maggior parte dei casi c’è anche l’altra, sebbene esistano ovvie eccezioni.

 

 

 

IN COSA PUÒ ESSERE UTILE?

Abbiamo quindi capito che chi considera l’intelligenza emotiva il fattore che più di qualunque altro è in grado di predire il successo nella vita di una persona… sbaglia, senza se e senza ma!

È fin troppo facile creare definizioni ad hoc per argomentare la propria tesi. Quindi c’è poco da fare: il quoziente intellettivo per il momento rimane più rilevante e predittivo. Sebbene comunque il QE non vada sottovalutato: rimane anch’esso, insieme ai tratti di personalità, di cui magari riparleremo in futuro, un potente fattore predittivo che non dobbiamo mai tralasciare nelle nostre valutazioni. Bisogna però, come sempre, mantenere un occhio critico.

Ma allora la domanda sorge spontanea: a che cosa serve ‘sta intelligenza emotiva? Probabilmente il merito principale di Daniel Goleman, che ha reso popolare il concetto, è quello di aver sottolineato la centralità delle emozioni nella vita delle persone, e più in generale aver dato spazio a temi veramente importanti legati al benessere e alla salute mentale.

Non è un caso che anche colossi, come ad esempio Google, abbiano cominciato a salvaguardare sempre di più il benessere psicofisico dei propri dipendenti, che non può essere slegato dalla produttività lavorativa. Questo tra l’altro è un discorso che vale in qualsiasi fase della vita, anche per gli studenti… ecco perché imparare a gestire le proprie emozioni è assolutamente cruciale!

Questo è proprio il motivo che mi ha spinto ormai più di un anno fa a iniziare una collaborazione costante con uno psicoterapeuta di livello eccezionale, Alessandro Bartoletti, per aiutare gli studenti universitari ad affrontare queste problematiche.

 

L’abbiamo già detto: affermare che un alto quoziente emotivo si traduce in un maggior successo nella vita non significa nulla se non lo si contestualizza. Però è anche vero che tratti specifici come la propensione alla leadership e la capacità di lavorare in gruppo (che, come abbiamo sottolineato, sono trasversali, coinvolgono tanto l’aspetto cognitivo quanto quello emotivo) sono soft skills estremamente utili, tanto nel lavoro quanto nello studio e nella vita di tutti i giorni. Sono quindi caratteristiche da valorizzare e che, sorprendentemente, si possono anche allenare e migliorare.

Se facciamo fede alla definizione che abbiamo dato in precedenza, caratteristiche come l’autocoscienza e l’autogestione si possono cambiare e migliorare nel tempo. O, per dirla in maniera più scientifica, sono soggette a “neuroplasticità.

 

E qui, anche se finora vi ho risparmiato complicati pipponi scientifici, una piccola spiegazione ve la beccate, ma prometto che sarà interessante! La neuroplasticità non è altro che la capacità del sistema nervoso di cambiare in risposta agli stimoli. In sostanza, se pensiamo che tutto quello che facciamo, dal muovere il braccio per prendere un bicchiere al riflettere sul movimento dei corpi celesti, corrisponde ad un gruppo di neuroni che si attiva, capiamo bene che anche le nostre emozioni sono il risultato dell’attività dei neuroni, e quindi possono “cambiare”.

Non voglio dilungarmi troppo, ma questo significa che, se si attribuisce il giusto ruolo all’intelligenza emotiva, come dicevamo prima, questa può diventare utile nei contesti scolastici, lavorativi ed organizzativi per diminuire stress, ansia, bullismo e aggressività. Più consapevolezza emotiva si traduce in meno contrasti, un ambiente più sereno e un aumento generale del benessere psicofisico e della produttività.

 

 

In definitiva, bisogna sicuramente mantenere un atteggiamento critico nei confronti del concetto e della definizione di “intelligenza emotiva”: si tende troppo spesso a fare generalizzazioni e a sfociare addirittura nella pseudoscienza, in alcuni casi.

La questione è controversa e non esiste un consenso scientifico univoco e consolidato, quindi è inevitabile dover fare i conti con problemi di definizione e valutazione. Ciò non toglie che se è chiaro quali tratti comportamentali si sta prendendo in considerazione, può diventare una risorsa preziosa in grado di integrare altri parametri come quello del QI.

Quello che invece è assolutamente insensato è trasformare l’intelligenza emotiva in un contraltare delle abilità cognitive: non aiuta nessuno e rischia di confondere le idee su un concetto già complicato com’è, appunto, quello dell’intelligenza.

Fatemi sapere che cosa ne pensate, condividete questo articolo con chiunque possa trovarlo utile e interessante … e se siete psicologi o neuroscienziati, vi prego, siate clementi, ho cercato di essere il più chiaro possibile e non semplificare troppo i concetti, ma… errare è umano!


 

 

FONTI e LINK UTILI

 

Menges, Jochen et. al. “The awestruck effect: Followers suppress emotion expression in response to charismatic but not individually considerate leadership.” The Leadership Quarterly (2015).

https://scholars.unh.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1004&context=personality_lab 

https://www.psychnewsdaily.com/iq-and-eq-gifted-people-also-have-a-bit-more-emotional-intelligence/

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2018.00169/full

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2019.01116/full

https://www.cnbc.com/2020/11/27/google-tackling-mental-health-among-staff-with-resilience-training.html

https://web.archive.org/web/20120517053518/http://www.unifi.it/notiziario/CMpro-v-p-240.html

 

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