L'INTELLIGENZA si può MISURARE? La VERITÀ sul QI

Se c’è un argomento, un tema, un concetto che più di ogni altro è in grado di scatenare interesse, curiosità, dubbio, controversia, dibattito furioso, è senza dubbio il concetto di intelligenza.

Intelligenza: quella forza misteriosa che risiede nel nostro cervello, che ci distingue dal resto del regno animale, che ci ha portati sulla Luna e nelle profondità dell’oceano e che identifica praticamente tutto quello che un essere umano è in grado di concepire a livello mentale.

A tutti noi è capitato di pensare a quanto intelligente sia quella nostra amica o nostro amico, a quanto poco intelligente, al contrario, ci sembri qualcun altro, a quanto noi stessi ci sentiamo intelligenti.

Non possiamo farne a meno, siamo condannati dalla nostra natura umana a cercare di scoprire che cosa sia davvero l’intelligenza e come sia possibile, se sia possibile, misurarla.

 

E allora oggi parliamo insieme proprio di questo: di intelligenza, di quoziente intellettivo e di misura dell’intelligenza.

 

Piccola premessa: questo tema è vergognosamente complicato, no sul serio, è una follia, più di qualsiasi altra cosa io abbia mai trattato sul mio blog. Ho fatto una quantità indegna di ricerche ma la verità è che non c’è consenso scientifico assoluto su tutti questi temi e ho dovuto semplificare tantissimo per poter scrivere un articolo anche solo vagamente fruibile.

Quindi, perdonatemi per le semplificazioni, sopportate le imprecisioni, e prendete il tutto con una sana dose di spirito critico. 

Tenetevi forti, perché sarà un articolo lungo, complesso, ma anche estremamente importante e affascinante. Ne vale la pena.

 

CHE COSA SI INTENDE PER INTELLIGENZA 

Bene, chiunque si fermi a riflettere su questi temi o si avventuri nella letteratura scientifica in merito si rende subito conto che il problema, molto prima che misurare l’intelligenza, è definirla.

Sì, perché con il termine intelligenza in realtà ci riferiamo comunemente a un insieme variegato di capacità cognitive, una cassetta degli attrezzi, per sfruttare la metafora raccontata nel bellissimo video di Kurzgesagt che vi lascio tra le fonti alla fine.

Intelligenza è la capacità di risolvere problemi, di raccogliere informazioni, di ricordare, di imparare, di essere creativi, di rielaborare, di definire strategie, di applicare il pensiero logico e razionale, di adattarsi al contesto, di pianificare e anticipare, di sfruttare strumenti, di rapportarsi con gli altri…

E’ proprio questo il cuore del problema, l’origine di tutte le controversie che affronteremo: non riusciamo a metterci d’accordo su che cosa indichi realmente questo termine, e io credo che il motivo sia che spesso, specie nei discorsi da bar in cui tiriamo in ballo l’intelligenza, ci fissiamo sul trovare una definizione che possa essere ristretta a uno o più campi di applicazione specifici, quando invece l’intelligenza è un insieme eterogeneo di fattori che rappresentano una modalità operativa, più che un campo specifico di utilizzo.

Per provare a tenere conto di tutto potremmo definire l’intelligenza così: la capacità di selezionare, assorbire, ricordare, processare e sfruttare informazioni al fine di risolvere problemi, sviluppare competenze pratiche, adattarci all’ambiente che ci circonda e interagire con esso per raggiungere obiettivi specifici.

Devo dire che sono piuttosto soddisfatto di questa definizione… ma c’è un problemino… 

Una definizione così generale, per quanto completa e accurata sia, risulta inutile in termini operativi, concreti. Come la misuriamo questa roba? Come lo costruiamo un esperimento? 

Se prendiamo per buona questa definizione, significa che la capacità di risolvere un problema di matematica è una manifestazione di intelligenza tanto quanto l’abilità di guidare la macchina, tanto quanto quella di inventarsi una nuova ricetta in cucina, tanto quanto quella di rapportarsi con gli altri in modo produttivo, tanto quanto… qualsiasi altra cosa in pratica.

 

Vale la pena qui di introdurre una distinzione ulteriore che ci torna molto comoda per capire come stanno le cose: la distinzione fra intelligenza fluida e intelligenza cristallizzata. 

Semplificando in modo brutale, l’intelligenza fluida sarebbe la capacità di selezionare, assorbire, ricordare, proc… oh, insomma, tutta quella pappardella lì di definizione che ho già scritto, basandosi però su informazioni nuove per arrivare a soluzioni nuove. In pratica la capacità di sfruttare la propria intelligenza in situazioni mai viste prima a cui ci si deve adattare.

L’intelligenza cristallizzata, invece, legata molto più alla conoscenza e all’”allenamento”, se vogliamo, che non alla creatività, è la capacità di fare tutte quelle cose lì basandosi però su informazioni già conosciute e interagendo in contesti identici o simili ad altri visti in passato.

Per cui, il costruttore di case che per primo si è fatto venire l’idea di scavare delle fondamenta per rendere più solida e resistente la casa stava applicando intelligenza fluida, il costruttore di case che mette giù fondamenta due volte al mese da 20 anni e ha reso l’intero processo quanto più sicuro, efficiente e automatico possibile, sta applicando intelligenza cristallizzata.

Già questa distinzione chiarisce molte cose: quando si affronta questo tema nel sentire comune, ma anche quando si affronta l’intelligenza in senso più accademico e psicometrico, si tende a concentrarsi di più sull’intelligenza fluida.

Il genio, nel sentire comune, non è l’esecutore efficiente, è il genio creativo, è Einstein che scopre la relatività, è Leonardo che immagina un elicottero, è Wozniak che costruisce il primo personal computer con pezzi di ricambio di seconda mano in garage, è Magnus Carlsen che crea una nuova linea di mediogioco negli scacchi.

 

Bene, capito questo ora arriviamo finalmente alla ciccia, a quello che importa davvero a tutti: come si misura? Come facciamo a capire chi ne ha di più e chi ne ha di meno?

 

IL QUOZIENTE DI INTELLIGENZA

Ed eccoci al QI o IQ, il quoziente d’intelligenza insomma, la misura di quanto intelligente sia un soggetto rispetto ad un altro. Il primo a usare questo termine è stato lo psicologo tedesco William Stern, il primo test è invece francese, di Alfred Binet.

Da lì poi il concetto ha preso piede e sono nate svariate teorie dell’intelligenza e test di varia natura, compreso il test del Mensa, la società che riunisce in tutto il mondo gli individui dotati di alto quoziente intellettivo, e il test di Weschler, il più noto e diffuso, la cui prima edizione risale al 1955. Ad oggi, il Weschler Adult Intelligence Scale, chiamato comunemente WAIS, è arrivato alla quarta edizione e viene impiegato da psicologi e psichiatri in tutto il mondo.

Tutti i test, in ogni caso, si basano su un principio simile: individuare una serie di fattori, di componenti, di campi di applicazione dell’intelligenza fluida, dalla cui misura si possa estrarre un fattore generale, speso indicato col termine “G”.

Nel WAIS, ad esempio, la misura dell’intelligenza è divisa in 4 macroaree: l’indice di comprensione verbale, l’indice di ragionamento visuo-percettivo, l’indice di memoria di lavoro, l’indice di velocità di elaborazione. Questi 4 indici vengono analizzati singolarmente per individuare i particolari punti di forza o di debolezza e ne viene estratto un indice generale, una media che indica l’intelligenza a tutto tondo.

In questi test si cerca di sfruttare prove che siano meno possibile legate ad aspetti culturali (anche se vedremo che questo rimane un problema) e sulle quali sia complicatissimo se non impossibile allenarsi (così da minimizzare l’impatto dell’intelligenza cristallizzata), come esercizi di selezione semantica, sequenze matematiche da completare, ricostruzione di figure, completamento di figure, deduzioni logiche ecc.

 

PROBLEMI, CRITICHE E CONTROVERSIE

E fin qui tutto bene, ma ci sono un bel po’ di controversie legate a tutto questo… Prima di affrontarle una per una bisogna chiarire una cosa, sennò non ne usciamo: il QI, il quoziente di intelligenza… funziona.

Cosa voglio dire con “funziona”? Voglio dire che la letteratura scientifica in merito è solidissima, i test sono strumenti impiegati regolarmente per una varietà notevole di condizioni, anche di ordine medico e, soprattutto, il QI è un fattore predittivo efficacissimo.

In parole povere significa che staticamente c’è una correlazione nettissima tra il possesso di un QI elevato e il successo nel mondo del lavoro ad esempio, il raggiungimento di un alto reddito e mille altri contesti e parametri.

 

E quindi sì, il QI esiste ed è un concetto utile scientificamente e socialmente, mettiamocela via. Ma questo non significa che sia perfetto, tutt’altro, ed è tutto molto, molto più complesso di così.

Le critiche al QI si sprecano, ce ne sono diecimila diverse, ma possiamo racchiuderle sotto due grandi macrocategorie: le critiche “etiche” e le critiche “metodologiche”.

  

LE CRITICHE ETICHE 

Partiamo da quelle etiche: è largamente diffusa nella popolazione mondiale l’idea relativistica, per così dire, che l’intelligenza non sia misurabile in alcun modo. Che sia talmente soggettiva e si manifesti in forme talmente varie che nessun test di nessun tipo potrà mai renderne conto. Che, insomma, ognuno è intelligente a modo suo e non ci sia alcuna scala oggettiva su cui potersi confrontare.

Questo pensiero, espresso in questo modo, è semplicemente smentito dai fatti, ed è figlio più di una comprensibile volontà di equità che di un’analisi empirica dei dati. Le differenze individuali esistono, come esistono evidentemente persone più o meno intelligenti. Ce lo conferma la scienza, ma anche l’esperienza quotidiana.

Accanto a questa posizione netta e, purtroppo, insostenibile a livello scientifico, ce n’è una più sensata, a mio modo di vedere, che si interroga sull’opportunità o meno di queste misurazioni, più che sulla loro efficacia, sul potenziale discriminatorio, sull’impatto psicologico che può avere un risultato sulla persona che lo riceve, sulla possibile strumentalizzazione delle differenze di intelligenza.

E io credo che sia legittimo farsi queste domande, specie quando si parla di misurare l’intelligenza media di gruppi specifici, perché abbiamo visto in passato diversi movimenti estremistici appropriarsi di dati sull’intelligenza, mistificarli, piegarli alla propria ideologia aberrante, e sfruttarli a fini di propaganda.

Basti pensare ai movimenti di estrema destra e ai suprematisti bianchi, che hanno fatto dell’errata interpretazione dei dati sulle differenze di QI a livello di gruppi razziali un cavallo di battaglia da decenni.

 

Oltre a queste macroscopiche e disgustose derive ci sono effetti sociali anche più sottili, meno gravi, ma pur sempre d’impatto sulla società, ed è quindi lecito interrogarsi sull’opportunità di approfondire campi specifici e sulle modalità con cui comunicare le eventuali conclusioni raggiunte.

Ah, per chiarire la questione a cui tanti di voi stanno pensando, giusto perché non voglio tirarmi indietro dalla controversia: no, le persone di colore non sono meno intelligenti di quelle bianche, affermarlo è contrario a ciò che i dati scientifici indicano.

È una cazzata, su più livelli.

Alcuni dati raccolti nelle comunità di colore in America in alcuni studi alcuni decenni fa hanno effettivamente evidenziato un QI medio inferiore rispetto ad altre comunità, ma queste differenze non hanno nulla a che vedere con la razza e non portano alle conclusioni che alcuni imbecilli propugnano:

 

  • in primis sono risultate molto inferiori alle differenze normali tra individuo e individuo anche negli altri gruppi e cross-gruppi, vale a dire che generalizzare l’intelligenza sulla base del gruppo etnico risulta poi un errore. Se tu dici “quella persona è di colore quindi probabilmente è meno intelligente di un bianco, non stai dicendo soltanto qualcosa di razzista e disgustoso, stai soprattutto dicendo qualcosa di inesatto statisticamente.

 

  • in secondo luogo, le differenze sono riconducibili a fattori ben più rilevanti che il colore della pelle, legate all’ambiente, alla scolarizzazione, all’alimentazione, all’accesso alla cultura, al livello di ricchezza. Ci torniamo fra poco.

 

  • E infine i gruppi razziali in sé sono un concetto superato, quasi inutilizzabile a livello scientifico e sempre meno utile anche a livello sociale perché la società è più fluida, più globale, esiste per fortuna sempre meno separazione etnica. Parlare di razze, nel 2020, è anacronistico e superato. 

E quindi sarebbe ben ora di finirla di usare il dibattito scientifico sull’intelligenza per inquinare di stronzate tribali il discorso pubblico.

 

LE CRITICHE METODOLOGICHE 

Per quanto riguarda l’altro macro-gruppo di critiche, quelle metodologiche, si concentrano sulla parzialità della misurazione del QI, che per estrarre il famoso fattore G prende in considerazione solo poche possibili applicazioni dell’intelligenza, molto settoriali e arbitrarie, risultando quindi precisa sì, ma fortemente incompleta.

E poi sul valore del test in sé, che è stato dimostrato poter essere influenzato da fattori esterni come la motivazione allo svolgimento, il generale benessere psicofisico al momento dello svolgimento, la familiarità con situazioni e test analoghi, la tolleranza allo stress della performance e il fattore culturale che, per quanto minimizzato dal tipo di prove, come dicevamo, risulta importantissimo.

Come si può fare un test di discriminazione semantica a un analfabeta, ad esempio? Eppure, potrebbe essere un analfabeta intelligentissimo. Siamo sicuri che la capacità di indicare il numero successivo in una serie numerica non sia anche influenzato dalla familiarità con la matematica? Ci siamo capiti.

 

Infine, ultima controversia da chiarire, quella relativa al che cosa indichi davvero il QI: parliamo di potenza del cervello, non di effettivo uso di quella potenza. Misurazioni del genere ci dicono quanto è potente il motore della macchina in contesti specifici, non dicono nulla però del pilota e di come quella macchina viene guidata su diversi percorsi. 

Per cui uno può essere incredibilmente intelligente ma comportarsi come un pirla. E se uniamo questa realtà con il concetto di intelligenza cristallizzata che descrivevo prima otteniamo l’intelligenza settoriale, persone intelligentissime in un campo che si dimostrano totali idioti in un altro. Ne parlavamo anche in questa live qualche tempo fa.

Per non parlare dell’influsso della personalità sull’impiego che si fa dell’intelligenza, si apre un mondo.

 

TEORIE ALTERNATIVE

È anche per questo che sono nate negli anni proposte alternative alla posizione globalista, quella ferma sull’IQ, che provano ad andare oltre e rendere conto in modo più completo e sfaccettato del fenomeno dell’intelligenza, come la teoria delle intelligenze multiple di Gardner, che meriterebbe un articolo a parte, magari ci torniamo su, e che descrive 9 manifestazioni fondamentali dell’intelligenza. Gardner è forse il più importante rappresentante dei teorici della cosiddetta “intelligenza fattorialista”.

Un altro concetto che ha preso piede negli ultimi decenni è quello di intelligenza emotiva o EQ, un altro fattore misurabile che si affiancherebbe all’IQ nel descrivere invece la capacità di applicare l’intelligenza nel campo relazionale, emotivo ed empatico, nella capacità di comprendere e connettere con gli altri.

Anche l’EQ, seppure in misura inferiore, è risultato predittivo del successo lavorativo, ad esempio.

Insomma, è un campo in continua evoluzione.

Le ultime due domande a cui voglio provare a rispondere sono: “da dove arriva l’intelligenza?” e “si può migliorarla nel tempo?” Rispondiamo, e poi la chiudiamo qui.

 

DA COSA DERIVA L’INTELLIGENZA

Da quello che sappiamo, i fattori da prendere in considerazione quando si tratta di intelligenza fluida sono fondamentalmente 2:

 

  • Per prima cosa, il fattore genetico. La biologia, come in qualsiasi altra cosa legata all’essere umano, ci mette lo zampino. Così come nascono persone più alte e meno alte, nascono anche persone maggiormente predisposte a sviluppare intelligenza e altre meno. Questo risulta particolarmente evidente nei casi estremi, con i geni precoci e i ragazzini affetti da disabilità intellettiva, ma esiste ovviamente anche nei casi intermedi.

 

  • L’ambiente. E per ambiente si intendono una quantità enorme di cose: dall’alimentazione all’istruzione all’ambiente familiare, al clima, all’incoraggiamento ricevuto dai genitori, alla cultura di riferimento, alle esperienze di vita, alla condizione psicofisica infantile, all’accesso all’istruzione e al gioco educativo. Insomma, tutto quello che non è genetica è ambiente.

 

Quanto questi primi due fattori pesino nel bilancio finale dell’intelligenza che sviluppiamo non è dato sapere, per il momento sembra cauto assumere che siano più o meno alla pari.

Ma se il fattore puramente genetico è di relativa poca importanza, nel senso che non si può fare altro che prendere atto del fatto che nasce gente più dotata di altra, è evidente e molto più interessante invece notare come un miglioramento dell’ambiente porti in modo matematico a un miglioramento netto delle performance di intelligenza. 

Si spiega così il famoso effetto Flynn, la constatazione che il QI medio mondiale è in continua crescita da ormai un secolo, in corrispondenza con il miglioramento delle condizioni di vita generale e la diffusione dell’accesso all’informazione.

E allora adesso abbiamo gli strumenti per capire ancora meglio quanto fosse assurdo legare alla razza e al colore della pelle i risultati statisticamente inferiori registrati nelle comunità afroamericane in quei test del QI.

Oltre agli altri motivi che ho già spiegato per cui quei risultati non vogliono dire quello che pensa il razzista da bar di turno, non è comunque il colore della pelle il problema, non lo è mai stato: il problema è che le comunità più povere e discriminate, con minore accesso all’istruzione, minori prospettive e opportunità, alimentazione di qualità inferiore, con meno stimoli educativi e un ambiente di sviluppo più difficile per i bambini portano purtroppo, in media, a quozienti di intelligenza più bassi. Se al posto dei neri ci fossero i bianchi o gli asiatici in quelle condizioni, ritroveremmo gli stessi risultati. E infatti ritroviamo risultati analoghi in altri gruppi discriminati o in condizioni di povertà.

E allora paradossalmente questi dati, invece che diventare cavallo di battaglia dei razzisti, potrebbero essere presi come evidenza inequivocabile dell’esistenza concreta, fisica delle diseguaglianze, e diventare cavallo di battaglia di chi lotta per una società più equa, che offra le stesse opportunità non solo sociali, economiche, politiche, ma anche cognitive e di sviluppo a tutti. Finalmente.

Lasciando da parte questo discorso, alla fine: Intelligenti, si nasce o si diventa? Entrambe le cose.

 

SI PUÒ MIGLIORARE L'INTELLIGENZA?

Si può diventare più intelligenti nel tempo?

Entrambi i meccanismi, sia quello biologico che quello ambientale, sono di fatto fuori dal controllo del singolo individuo.

E mi dispiace dirvelo ma la letteratura scientifica, per quanto di certo non conclusiva sul tema, per il momento non vede evidenze solide dell’efficacia di brain games e programmi di allenamento vari.

E quindi, da quello che sappiamo, di base no, non si può fare molto per aumentare la propria intelligenza, qualsiasi cosa essa sia.

 

Quello che si può fare sono 4 cose:

  • Si può massimizzare, per quanto possibile, il benessere ambientale dei bambini, promuovendo uno stile di vita sano e stimolante, motivando alla cultura e all’istruzione e assottigliando le diseguaglianze nelle diverse comunità.

 

  • Si può lavorare sull’applicazione dell’intelligenza, sul pilota, invece che sul motore e migliorare almeno un pochino anche a livello di temperamento e personalità.

 

  • Si può incrementare l’intelligenza cristallizzata attraverso la pratica, lo studio, la formazione, l’allenamento. Diventare sempre più competenti in sempre più campi, spaziare e dedicarsi a ciò che ci interessa con dedizione e spirito critico per accrescere gli strumenti cognitivi che siamo in grado di applicare in modo efficiente.

 

  • Si può rallentare il decadimento dell’intelligenza in età adulta e in età avanzata, con un’alimentazione corretta, l’esercizio fisico, sia aerobico che anaerobico e il continuo stimolo mentale, che sono elementi di provata efficacia per il mantenimento delle proprie capacità.

 

Mi fermo qui, potrei andare avanti pagine e pagine, in definitiva credo che il concetto di intelligenza e la misura dell’intelligenza siano importantissimi e utili, ma la scienza in questo campo tanto stratificato e difficile da indagare è ancora giovane, le domande aperte si sprecano, il consenso completo praticamente non esiste e sembra evidente e auspicabile che emergeranno teorie e spiegazioni più complete a descrivere (e magari misurare) tutto questo.

Chiedo scusa a tutti gli psicologi e neuroscienziati che ho fatto stare male banalizzando questi concetti a scopo divulgativo, vi prego di credere che sono animato da buone intenzioni. 

 

UN PO' DI FONTI E APPROFONDIMENTI

https://www.youtube.com/watch?v=ck4RGeoHFko 

https://www.mensa.org/iq/what-iq

http://williamcalvin.com/1990s/1998SciAmer.htm

http://www.intelligence.martinsewell.com/Gottfredson1997.pdf

https://www.wikiwand.com/en/Wechsler_Adult_Intelligence_Scale

https://www.wikiwand.com/en/History_of_the_race_and_intelligence_controversy

https://ourworldindata.org/intelligence

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0960982213008440

https://arxiv.org/pdf/0706.3639.pdf

Gardner, Howard (1999). Intelligence Reframed: Multiple Intelligences for the 21st Century, New York: Basic Books.

Cattell, R.B., (1963) Theory of fluid and crystallized intelligence: A critical experiment. Journal of Educational Psychology, 54, 1-22. 

Spearman C., (1904) General intelligence, objectively determined and measured. American Journal of Psychology, 15, 201–293.

Cattell R.B., (1987) Intelligence: Its structure, growth, and action. Elsevier Science Pub, New York.

https://www.psychologytoday.com/us/blog/hide-and-seek/201811/what-is-intelligence

https://shodhganga.inflibnet.ac.in/bitstream/10603/31161/6/06_chapter%202.pdf

https://archive.org/details/whatintelligence00stan

http://www1.udel.edu/educ/gottfredson/reprints/1998generalintelligencefactor.pdf

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