MAGNUS CARLSEN: nella mente del PRODIGIO
C’è qualcosa nel gioco degli scacchi che assorbe e reclama per sé menti, personalità, anime da migliaia di anni.
Come un buco nero senza fine da cui una volta entrati non si può più scappare, il perimetro di quelle 64 caselle, bianche e nere, di quei 32 pezzi, contiene un universo infinito di possibilità, di combinazioni, di battaglie, di storie, di espressione artistica persino.
Di quando in quando, in quello stesso universo infinito e strano, matematico, militare, emergono figure capaci di elevarsi sopra chiunque altro, capaci di dominare la fredda logica del gioco a un livello quasi mistico.
Alexander Alekhine, Paul Morphy, José Raùl Capablanca, Garry Kasparov, Bobby Fischer, nomi scolpiti nella leggenda degli sport della mente, con in mano un pezzo di legno e la mente persa nel calcolo.
Chi non è appassionato di scacchi può non saperlo, ma viviamo in una nuova era per il gioco dei re, un’era fatta di computer, intelligenza artificiale, gioco online.
E in mezzo a tutto questo, 29 anni fa, in Norvegia, è nato un ragazzo che ha ridefinito il concetto stesso di dominio sulla scacchiera. Un ragazzo che è stato chiamato “il Mozart degli scacchi”, il più forte di tutti i tempi, l’alieno, il campione, il genio.
Sven Magnus Øen Carlsen.
Affascinante, schivo, annoiato, esaltato, spietato, competitivo oltre ogni limite, riflessivo, talvolta sgarbato, è una delle figure sportive e intellettuali più incredibili del nostro tempo.
Oggi vi racconto la sua storia, provando a entrare con voi nella mente del prodigio, nella mente di Magnus Carlsen.
GLI INIZI
È il 30 novembre del 1990, Magnus nasce a Tonsberg, in Norvegia, secondo genito di Sigrun e Henrik, entrambi ingegneri, lei chimica, lui informatico, con altre tre figlie femmine.
Magnus si dimostra fin da subito un bambino intelligente, come del resto anche le sue sorelle: a 2 anni completa da solo dei semplici puzzle, a 4 i suoi cominciano a comprargli set Lego dedicati a ragazzini tra i 10 e i 14.
Oltre all’intelligenza, la sua peculiarità è il tempo insolito che dedica alla riflessione, tanto da sembrare lento qualche volta. I suoi genitori notano la cosa, non le danno troppo peso, ma tengono gli occhi aperti.
In un’intervista, Henrik ha raccontato “eravamo un po’ preoccupati dal suo sviluppo relativo rispetto agli altri bambini, era difficile dargli delle istruzioni su come fare le cose, era come se avesse bisogno di pensarci su.”
A 5 anni i coniugi Carlsen regalano al piccolo Magnus un libro con tutte le bandiere e le descrizioni dei paesi del mondo. Nel giro di poche settimane, Magnus ricorda ognuna di quelle bandiere, insieme alle capitali, alla posizione e alla popolazione di tutte le nazioni del mondo.
Il padre è un appassionato di scacchi e un discreto giocatore, di livello nazionale, e decide di mettere alla prova la memoria del figlio e insegnargli le regole degli scacchi. Lo ha già fatto con sua sorella maggiore, che gioca piuttosto bene per la sua età.
Al piccolo Magnus i giochi piacciono un sacco, così come anche gli sport, ed è competitivo, vuole battere sua sorella Ellen a tutti i costi, ma gli scacchi sono solo una delle tante attività su cui passa il tempo, nulla di speciale, nessun interesse specifico, nessun risultato degno di nota…
Finché non compie otto anni, e qualcosa cambia. Magnus, senza nessun incentivo da parte dei genitori, comincia ad abbandonare il resto dei giochi e a passare sempre più ore alla scacchiera. Sempre di più. Sempre di più, finché la sua vita non si divide in sole tre attività: gli scacchi, i fumetti di Paperino, che lo divertono più di ogni altra cosa e il calcio, l’altra sua grande passione, ci torneremo più avanti.
Nel 1999, a 8 anni e 7 mesi, Magnus gioca il suo primo torneo, il campionato norvegese, nella divisione bambini. E lo vince.
Sigrun, la mamma, è preoccupata, teme che questa passione per gli scacchi possa diventare un’ossessione e distogliere Magnus dagli studi, anche il padre inizialmente non è così entusiasta, ma poi comincia a riconoscere i segni del talento.
Semplicemente, quel bambino muove i pezzi in un modo in cui nessun altro bambino riesce a fare. Continua a migliorare con una rapidità quasi preoccupante, passa ore e ore a giocare contro sé stesso e non esiste suo coetaneo in Norvegia che possa anche solo sperare di vincere una partita contro di lui.
A 9 anni comincia a battere suo padre e i coniugi Carlsen lo fanno seguire da maestri qualificati, pur regolamentando il tutto in modo che il gioco non divori l’intera vita di loro figlio. Gli è permesso studiare scacchi non più di 3-4 ore al giorno, ma deve anche continuare ad andare a scuola e fare sport.
A ottobre 2002 arriva sesto al campionato europeo under 12. A novembre 2002, un mese dopo, arriva primo a parimerito al campionato del mondo under 12.
Nel Marzo 2004, a 13 anni e qualche mese, Carlsen conquista il titolo di Grande Maestro, il livello più alto nel mondo degli scacchi. È il secondo più giovane della storia a riuscirci. Da lì, inizia la scalata.
LA SCALATA
Finite le scuole medie, Magnus si prende un anno sabbatico per potersi dedicare alla sua preparazione, si iscriverà poi a un liceo privato sportivo, nel quale gli insegnanti rispettino i suoi impegni internazionali e i tempi del suo allenamento.
Magnus in quel momento, a 13-14-15 anni, ha un gioco aggressivo, esagerato, che si fa forte di una superiorità tattica, strategica, posizionale, teorica: lancia i suoi pezzi sulla scacchiera quasi con violenza, come se volesse sfidare sé stesso per vedere fino a che punto può spingersi.
I risultati arrivano: attira l’attenzione della stampa, nel 2005 Lubomir Kavalek lo chiama per la prima volta “il Mozart degli scacchi” in un articolo sul Washington Post. Microsoft, il gigante tech, decide di diventare il suo sponsor.
Nel 2005 affronta forse la sua prima, vera, grande sfida: un match sulle quattro partite con Viswanathan Anand, all’epoca numero 2 del mondo, già campione del mondo tra il 2000 e il 2002. L’indiano schiaccia il giovane Gran Maestro 3 a 1. Non è ancora il momento.
Nel 2006, a 16 anni, Magnus lascia la scuola. Non ha più tempo per compiti, interrogazioni, verifiche. Deve giocare a scacchi.
LA CRESCITA
Magnus nel privato è un ragazzo simpatico e tranquillo, ma è anche insofferente e scorbutico quando lo si infastidisce, tollera poco le interviste e si annoia facilmente. È introverso, ma nonostante questo il mondo sembra amarlo sempre di più e finisce sempre di più al centro dell’attenzione mediatica.
Detesta perdere ed è famoso per incazzarsi con sé stesso ogni volta che succede.
Del resto, da quello che racconta, è sempre stato così. In un’intervista dice: “mi arrabbio di più quando perdo ad altri giochi, oltre agli scacchi. Mi arrabbio sempre quando perdo a Monopoli”.
Il suo talento e il duro lavoro continuano a sostenerlo, ma la sua sicurezza non è ancora al giusto livello. Magnus vince, vince tanto, ma perde anche, ed è costretto a lavorare sul suo gioco, a cambiarlo, a rinunciare a un po’ della sua irruenza giovanile in nome di un approccio più posato, più completo.
Nel 2009 prende lezioni da Garry Kasparov stesso, considerato allora il miglior giocatore di tutti i tempi, che lo seguirà per 2 anni.
Anche grazie all’influenza del Russo, il gioco di Carlsen si fa partita dopo partita più maturo, più profondo, la sua sicurezza in sé stesso finalmente raggiunge il suo talento e la crescita sembra inarrestabile. Si affina anche la sua intuizione, più volte ha ribadito di “vedere le mosse” prima di aver compiuto una vera analisi, come se si materializzassero nella sua mente.
Continua a vincere, sempre di più, fino a raggiungere e superare i 2800 punti Elo, un livello che solo una manciata di persone nel mondo possono vantare.
Nel frattempo, nel 2007, Anand è diventato per la seconda volta il campione del mondo e ha iniziato il suo secondo regno.
Fino al 2013.
LA VETTA PIU’ ALTA
Novembre 2013, Carlsen è finalmente arrivato alla sfida più alta: si è qualificato per il match mondiale sulle 12 partite con il giocatore più potente e vincente degli ultimi 10 anni, che già una volta lo ha annientato.
Viswanathan Anand lo aspetta a Chennai, in India.
La pressione sulle spalle di Magnus è enorme, sente di essere il migliore di tutti, di poter battere chiunque, ma adesso è il momento di dimostrarlo.
Ha i nervi a fior di pelle quando i giornalisti indiani lo bombardano di domande.
Come descriveresti il tuo stile di gioco? Gli chiede un reporter. Magnus alza le spalle. “Io gioco solo a scacchi”. Qual è la tua strategia per il match? “Solo giocare a scacchi.” Come ti sei allenato? “Giocando a scacchi.”
Il tempo delle parole, per Magnus, è davvero finito.
Mi ricordo come se fosse ieri quel match, quel momento, io seguivo ogni partita del match in diretta, incollato allo schermo.
La prima partita è una patta, Carlsen prova a innovare in apertura ma commette alcune imprecisioni ed è costretto a fermare tutto.
La seconda partita è una sorpresa dopo l’altra, entrambi i giocatori escono dal loro repertorio classico e si danno battaglia furiosamente nella prima fase del gioco, ma è di nuovo patta.
La terza e la quarta partita sono ancora delle patte, a quel livello il gioco è talmente perfetto, talmente raffinato che trovare da entrambe le parti uno spiraglio per la vittoria è un’impresa titanica.
Alla quinta partita succede: Anand rimane indietro col tempo e Magnus vede finalmente una crepa nella difesa del campione Indiano. È la prima partita decisiva del match, Magnus vince.
Anand batte in ritirata nella sesta partita, vuole recuperare con una patta facile ma è stanco, ha 20 anni di più del suo avversario, è provato da un match che si aspettava meno impegnativo. Commette un errore e perde ancora. Carlsen 4 punti, Anand 2.
Partita 7 e 8, Anand appare provato, gioca partite sicure, non rischia niente: due patte. E poi tenta il colpo di reni.
Nella partita 9 Anand salta alla gola di Carlsen con una partita aggressiva, appassionante, il canto del cigno del campione del mondo in carica. Magnus non fa una piega, deflette ogni attacco e rimane composto. In finale, ancora una volta, Anand commette un errore, e cade.
La decima partita è una lenta agonia, Magnus insiste, vuole chiudere con una quarta vittoria e dimostrare al mondo che nessuno può contrastarlo. Fallisce, finisce patta, ma Carlsen è il nuovo campione del mondo, imbattuto nel match mondiale.
I nervi crollano, finita la partita la maschera impassibile e scorbutica si sgretola, Magnus sorride, si ricorda di avere solo 23 anni e si fa lanciare nella piscina dell’hotel, ancora vestito.
IL DOMINIO
Difenderà il suo titolo un anno più tardi, ancora una volta contro il vecchio leone Anand, che non vuole mollare. Durante il match, Carlsen appare provato, stanco, a un certo punto si addormenta sulla scacchiera. Sembra quasi un insulto al suo rivale, si scoprirà poi che non si sentiva bene, aveva qualche linea di febbre e una nausea fastidiosa. Vince ancora il match e resta campione del mondo.
Difende ancora il titolo nel 2016, e nel 2018 affronta Fabiano Caruana, l’italo-americano che è forse il suo più grande rivale, l’eterno numero 2 degli ultimi anni. Dopo una serie infinita di patte si va agli spareggi rapidi, e lì nessuno può nemmeno confrontarsi con lui. Vince ancora.
Nel frattempo, il suo livello continua a crescere fino a diventare impensabile. Sembra non avere limiti.
Negli anni ha toccato quota 2882, il punteggio Elo più alto mai registrato, mentre scrivo questo video siede a 2862, a 20 punti da Caruana.
Oggi, nel 2020, Magnus è campione del mondo in tutte e tre le specialità degli scacchi: il gioco normale, quello rapido e quello Blitz ed è imbattuto dal 2018, non perde da oltre 111 partite al massimo livello, la “winning streak”, per dirla come gli americani, più lunga di sempre.
Ha smesso di perdere, semplicemente. Sembra che nessuno sia più in grado di batterlo su una scacchiera.
IL GIOCO
Il gioco di Magnus ha da tempo trasceso l’aggressività iniziale, trasceso persino il concetto di stile. È un gioco universale, flessibile, vario, fortemente incentrato sul vantaggio posizionale. Non aggredisce, controlla, trova ogni minimo spazio per difendersi e per sfruttare il più piccolo vantaggio.
In un’intervista Kasparov lo ha paragonato a un boa constrictor, l’enorme serpente che sfinisce il suo avversario, lo avvolge nelle sue spire e lo fa a pezzi lentamente, senza mai perdere il controllo.
Ma non è solo questo a renderlo così speciale, Magnus non si arrende mai, elimina la possibilità della sconfitta completamente ed è pronto a qualsiasi cosa pur di vincere. È rimasta famosa questa sua frase:
“Alcune persone credono che, se il loro avversario ha giocato una bella partita, sia ok perdere. Io no. Bisogna essere spietati.”
E poi c’è lo sport. Magnus insiste sul fatto che la sua preparazione fisica sia una componente fondamentale del suo successo. Palestra, nuoto, tennis, basket, ginnastica.
Ma, soprattutto, il calcio, lo sport che ama con tutto alla follia. Magnus tifa Real Madrid e quelli che gli stanno intorno raccontano che quando il Real perde una partita importante bisogna lasciare qualche ora a Magnus per sbollire, perché diventa intrattabile.
Quando non ha niente da fare gioca anche al fantacalcio, ed è finito qualche mese fa di nuovo sui giornali per aver scalato la classifica ed essere diventato il numero 1 al mondo anche nel fantacalcio. Per celebrare il suo momento di gloria, il norvegese ha cambiato il suo profilo su Twitter, definendosi così: "Campione del mondo di scacchi. Attualmente giocatore numero 1 della Fantasy Premier League".
È focalizzato sugli scacchi ma non mostra quei tratti di ossessione assoluta, di follia che hanno caratterizzato tanti campioni.
Da anni è una superstar internazionale e trova il tempo di posare per campagne di moda internazionali, di apparire nei Simpson, di distruggere Bill Gates in una manciata di mosse, di lanciare una sua app, fare streaming su Twitch e video su YouTube. È stato nominato dal Time tra le 100 persone più influenti del mondo e da Cosmopolitan uno degli uomini più sexy del pianeta.
Nel mondo degli scacchi c’è chi lo invidia, chi lo odia, chi lo idolatra, chi spera che la sua personalità magnetica possa riportare questo gioco alla ribalta internazionale.
Io, dal canto mio, non posso che rimanere abbagliato di fronte alla sua grandezza mentale e sportiva.
Quando gli chiedono quale sia il suo scopo, il suo obiettivo, in futuro, lui risponde sempre nello stesso modo.
“I don’t have a goal”, “Non ce l’ho un obiettivo”
Verrebbe da aggiungere quelle parole del 2013, in quell’intervista in India, prima di vincere il titolo mondiale e cambiare la storia del suo gioco per sempre:
“Io gioco solo a scacchi”
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