Il premio NOBEL per la PACE - Malala Yousafzai

Prova a chiudere gli occhi per un istante e immaginare che, con uno schiocco di dita, la metà esatta delle persone sulla Terra si spenga in silenzio, non perda solo la possibilità di parlare, ma la capacità di farlo. Che perda le conoscenze di base che abbiamo tutti, che diamo per scontate, che perda l’istruzione, che perda l’abilità di esprimere la propria intelligenza, le proprie idee, i propri pensieri.

Un mondo in cui tante, troppe persone, vivono immerse nel silenzio più totale, non solo il silenzio delle parole, ma il silenzio del pensiero.

Il silenzio dell’ignoranza forzata, il silenzio dell’oppressione.

Adesso apri gli occhi e smetti pure di immaginare, non ne hai bisogno, perché quel mondo esiste. Esiste ora, in questo momento, mentre tu leggi questo articolo attraverso lo schermo di uno smartphone o di un computer.

Esiste in Pakistan, in Afghanistan, in aree enormi del Sudamerica, in India, in Nigeria, in Siria e in tanti, tanti altri luoghi, anche più vicini a te di quello che pensi.

Luoghi dove la metà delle persone rimane in silenzio. Deve rimanere in silenzio, non ha altra scelta.

Spesso, questa metà di persone sono le donne, a cui viene negata ogni possibilità di imparare, di studiare, di conoscere e, con questo, di pensare, di sviluppare una propria visione del mondo, di incidere a livello sociale, economico, politico, di alzare una propria voce.

 

Oggi voglio raccontare di una donna che quando era poco più che una ragazzina ha avuto l’opportunità e la volontà folle o geniale, certamente rivoluzionaria, di rompere il suo silenzio e di usare la sua voce per chiedere, per pretendere, ciò che avrebbe sempre dovuto essere suo e di tutte le altre: il diritto all’istruzione.

La risposta che ha ricevuto avrebbe fatto ripiombare nel silenzio chiunque. Non lei. Non Malala. Lei non ha più smesso di parlare, nonostante tutto.

Questa è la storia di Malala Yousafzai.

 

I PRIMI ANNI

Malala nasce il 12 luglio 1997 a Mingora, nella valle di Swat nel nord del Pakistan, un luogo dalla bellezza abbagliante, circondato da montagne innevate, ricoperto di boschi rigogliosi, attraversato da un fiume che porta lo stesso nome, punteggiato dalle rovine dell’antico regno buddhista di Gandhara.

È la figlia di Ziauddin e Tor Pekai. La sua è una famiglia musulmana sunnita, di etnia Pashtun, senza grandi disponibilità economiche, ma nemmeno in totale povertà.

                                         

Malala nasce a casa sua, non ci sono i soldi per prenotare un letto all’ospedale, e le viene dato il nome di una famosa poetessa e guerriera Pashtun. Vive con i suoi due fratellini più piccoli, i suoi genitori e due polli.

Ziauddin, suo padre, è un uomo speciale. È un poeta, un attivista politico dalla mente affilata e dalla volontà di ferro, un insegnante e in qualche modo anche un imprenditore dell’istruzione: fonda e dirige una serie di scuole private, anche femminili.

Si occupa personalmente dell’istruzione di sua figlia, crede nell’intelligenza e nel potenziale di Malala: lei sogna di fare la dottoressa, lui che diventi un giorno una leader politica per il suo popolo.

Le insegna l’inglese, la fa stare alzata fino a tardi, quando i suoi fratellini sono ormai a letto, le parla delle difficoltà del suo mondo, del futuro.

 

I TALEBANI

Alla fine del 2007, quando Malala ha ancora 10 anni, la regione di Swat viene invasa dai guerriglieri Talebani, che ne devastano l’economia turistica e la storia, deturpano le rovine buddhiste, cercano di imporre la legge islamica, proibiscono la televisione, mettono fuori legge la musica e, ovviamente, segregano le donne in casa, imponendo il divieto di istruzione per le bambine. Le donne, per i talebani, devono coprirsi e rimanere in silenzio.

Silenzio.

Qualche politico locale prova ad opporsi ai soprusi dei talebani, resiste, protesta. Le loro teste mozzate vengono lasciate in bella vista nelle piazze della capitale. Il processo di islamizzazione radicale sembra inarrestabile.

Nel 2008 il sito della BBC Urdu decide di documentare l’invasione culturale e militare dei talebani nella valle di Swat, cercando una ragazzina che ancora vada a scuola e che possa curare degli articoli di blog, che possa descrivere la vita quotidiana della regione con il suo sguardo unico, dal basso.

Per avviare l’iniziativa contattano un insegnante locale, un noto attivista, un uomo aperto di mentalità, che, ostinato, ancora si rifiuta di piegare la testa: Ziauddin, naturalmente.

Nessuna ragazzina accetta di scrivere per la BBC, tutte temono per la propria vita e quella delle loro famiglie.

Ziauddin è tormentato ma, alla fine, propone sua figlia, Malala. Lei accetta, senza pensarci un secondo.

 

IL BLOG

Le fanno usare uno pseudonimo per proteggerla, lei scrive a mano i suoi pensieri su fogli di carta e poi li passa a un reporter, che li scannerizza e li invia via mail alla redazione.

Nel suo primo articolo, con qualche piccolo errore di inglese, Malala scrive:

“Ho fatto un sogno terribile ieri con elicotteri militari e i Talebani. Ho fatto sogni così dall’inizio dell’operazione militare nello Swat. Mia madre mi ha fatto la colazione e sono andata a scuola. Avevo paura di andare a scuola perché i Talebani hanno emesso un editto che vieta a tutte le ragazze di andare a scuola. Solo 11 alunni su 27 hanno frequentato la lezione.”

Malala ha 11 anni, racconta al mondo le sue paure di bambina mentre la valle progressivamente perde le libertà civili, schiacciata militarmente dalla forza dei guerriglieri.

Estratti del blog di Malala finiscono su un giornale locale. Vengono fatte saltare in aria scuole per ragazze.

Nel febbraio del 2009 anche le scuole per ragazzi chiudono, per solidarietà a quelle femminili distrutte. Il 7 febbraio Malala scrive sul suo blog che a Mingora, nella sua città natale, per la strada c’è un silenzio spaventoso. Insieme a suo fratello vanno al supermercato per comprare un regalino per la mamma, ma è chiuso, è tutto chiuso. Il silenzio è ovunque, ricopre ogni cosa.

Nel frattempo la casa di Malala è stata rapinata e hanno portato via la televisione.

Suo padre invece è sempre più deciso, sempre più incazzato, sempre più impegnato, sempre più risoluto a continuare a lottare, anche a costo di mettere in pericolo sé stesso e la sua famiglia. I suoi ideali non consentono compromessi.

Il 15 febbraio 2009 nelle strade di Mingora volano i proiettili, Ziauddin stringe i suoi figli e dice loro di non avere paura, che quelli sono gli spari per la pace. Ha saputo che il governo e i guerriglieri stanno per firmare un accordo, un trattato che forse metterà fine agli scontri.

 

LA PACE

Il 18 febbraio Ziauddin viene invitato in un importante talk show televisivo nazionale e si espone apertamente contro i Talebani, viene sempre più visto come un intellettuale punto di riferimento della resistenza sociale all’invasione.

L’accordo viene firmato e le scuole per ragazze vengono riaperte, rimane solo l’obbligo di indossare il burqa. Non tutte tornano a scuola, però.

La pace è fragile e le persone lo sanno, Malala scrive del rumore di mortai che si sente in lontananza nella vallata e della paura che tutto, presto, possa tornare come prima… che alle grida divertite dei suoi compagni che giocano, possa sostituirsi, ancora una volta, il silenzio.

Il 9 marzo Malala racconta sul blog di un compito in classe di scienze in cui ha preso un bel voto.

Poi qualcuno rivela la sua identità, lo pseudonimo non funziona più, e il 12 marzo 2009 il blog viene bruscamente interrotto dalla BBC. È diventato troppo pericoloso.

Ormai anche Malala, non solo suo padre, è conosciuta, in patria come all’estero, il New York Times vuole persino realizzare un documentario.

 

LA SECONDA BATTAGLIA

In maggio l’esercito del Pakistan ritorna nella regione per riprenderne definitivamente il controllo e ricominciano gli scontri. Mingora viene evacuata, Malala viene mandata da dei parenti in campagna, dove si annoia, non ha nulla da fare, nulla da leggere.

Suo padre si sposta invece a Peshawar, nella capitale, per guidare le proteste.

Ziauddin sta alzando troppo la voce, in radio un leader talebano lo chiama per nome, lo minaccia di morte. Lui non arretra di un centimetro. Le minacce di morte, nei mesi, diventano una presenza costante, per lui e per Malala, infilate sotto la porta di casa, lasciate in strada, recapitate, sussurrate o gridate.

Il 24 luglio 2009 la valle di Swat è finalmente libera dai Talebani, la famiglia Yousafzai si riunisce, torna a Mingora, il documentario del New York Times viene girato, prodotto e distribuito e Malala comincia a diventare sempre di più una celebrità della lotta per l’istruzione femminile: viene invitata, intervistata, ascoltata.

Per quasi tre anni l’attivismo di Malala continua a salire di livello e ad ispirare ragazze in tutto il mondo. Riceve premi internazionali e in patria, le vengono intitolate scuole, istituti, iniziative, fondazioni, diventa seguitissima su Facebook.

Malala, supportata da suo padre, diventa il simbolo della speranza per le ragazze oppresse di tutto il mondo, che hanno scelto di alzare la voce e pretendere un’istruzione e un futuro. È un simbolo ribelle, una piccola ragazzina di 14 anni che fa tremare i leader Talebani.

 

IL SILENZIO

Il 9 ottobre 2012 l’autobus pieno di ragazzi che riporta Malala a casa da scuola viene bloccato in mezzo alla strada. Un uomo armato, con un passamontagna, sale e urla “Chi è Malala?”

Qualcuno la indica. L’uomo si avvicina, le punta una pistola in faccia e spara.

All’improvviso, il silenzio.

 

IL RISVEGLIO

Malala non muore.

Il proiettile passa dal suo occhio sinistro al collo fino alla spalla e si blocca vicino alla spina dorsale, il suo cervello è danneggiato dal passaggio del proiettile, i dottori sono costretti a rimuovere chirurgicamente parte del cranio, scoperchiandolo, un’operazione chiamata craniectomia decompressiva.

La storia fa il giro del mondo in un istante, tutti trattengono il respiro, le offerte per curare Malala arrivano da ogni paese.

                                                      

Alla fine, viene trasportata in Inghilterra, a Birmingham, in un ospedale specializzato nella cura di soldati feriti in guerra.

Malala esce dal coma il 17 ottobre, otto giorni dopo l’attentato. I dottori dichiarano che ha buone chance di farcela senza danni permanenti al cervello.

Ha la testa e il viso completamente sventrati dal proiettile e dalle operazioni, subisce svariate ricostruzioni, lotta con infezioni ma si riprende gradualmente.

A novembre le ricostruiscono il nervo facciale, a febbraio le ricostruiscono il cranio e le ridanno l’udito con un impianto cocleare.

Nel frattempo l’attentato ha subito esattamente l’effetto opposto di quanto sperato dai capi talebani che hanno ordinato la sua esecuzione.

Malala ora è dappertutto, tutti parlano di lei, Internet esplode in suo supporto, la sua lotta per la sopravvivenza innesca una valanga incontrollabile di reazioni di rabbia e rivolta nel popolo del Pakistan, così come in Europa e negli Stati Uniti.

Ne parlano Barack Obama, Il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, Madonna scrive una canzone per lei, Il premier inglese Gordon Brown la va a trovare in ospedale, il Washington Post paragona la storia di Malala a quella di Anna Frank.

Proteste, petizioni, una campagna che porta alla ratifica storica della prima legge sul diritto all’educazione in Pakistan.

Quando chiedono a Ziauddin, il papà di Malala, se abbia paura di tornare nel suo paese, lui risponde inamovibile, duro come l’acciaio “Che mia figlia sopravviva oppure no, non lasceremo il nostro paese. La nostra ideologia richiede la pace, i Talebani non possono fermare tutte le voci indipendenti con la forza dei proiettili.”

Vengono offerti 10 milioni di rupie, circa 100 mila euro, per la cattura degli attentatori. L’uomo che ha sparato viene identificato: è uno studente di chimica di 23 anni. Non è mai stato arrestato.

Malala, nel frattempo, sta meglio.

 

LA VOCE DI MALALA

Nel luglio del 2013 la ragazzina che ha risvegliato la coscienza del mondo intero rompe il silenzio ancora una volta e tiene un discorso di fronte alle Nazioni Unite. Il suo primo discorso pubblico dopo l’attentato. Pronuncia, fra le altre, queste parole:

“I terroristi pensavano che avrebbero cambiato le mie mire e fermato le mie ambizioni, ma niente è cambiato nella mia vita eccetto questo: la debolezza, la paura e il senso di impotenza sono morti. La forza, il potere e il coraggio sono nati.

E poi aggiunge:

Non sono qui contro nessuno, non sono qui per parlare di vendetta personale contro i Talebani o qualunque altro gruppo terrorista. Sono qui per alzare la voce per il diritto all’istruzione di ogni bambino. Voglio istruzione per i figli e le figlie dei Talebani e di tutti i terroristi e gli estremisti

 

Malala non ha più smesso di alzare la voce. Viene ricevuta dalla Regina Elisabetta a Buckingham Palace, parla ad Oxford, incontra Barack Obama e non si fa problemi a chiedergli conto degli attacchi con droni condotti dagli Stati Uniti sul suolo pakistano.

Il 10 Ottobre 2014, a 17 anni, le viene riconosciuto il premio Nobel per la pace, la persona più giovane della storia ad averlo ricevuto.

                                                  

Da allora, Malala ha parlato ovunque, ha ricevuto ogni sorta di premio e riconoscimento, si è battuta per la persecuzione dei Rohingya in Myanmar, per la situazione delle ragazze nel Kashmir, per i rifugiati somali in Kenya, per i rifugiati Siriani in Giordania, ha aperto scuole, fondato associazioni no profit e ha persino più volte indicato la sua intenzione di fondare un partito politico e candidarsi come Primo Ministro del suo paese.

Ha poi cambiato idea, dicendo che ci sono modi diversi, migliori in cui può lottare per il cambiamento che vuole imprimere al mondo.

 

Nella bellissima intervista fattale da David Letterman che potete trovare su Netflix, Malala ha detto di aver perdonato i suoi assalitori, perché il perdono è la vendetta migliore che può avere, e che si rende conto che il ragazzo che le ha sparato abbia agito pensando di fare la cosa giusta. Ha anche parlato piuttosto male di Donald Trump. La cosa non sorprende.

Nel tempo libero cerca di fare la vita di una ventenne normale. Il 19 giugno 2020, ha dato l’ultimo esame all’università di Oxford, dove ha studiato nel corso di PPE: Philosophy, Politics and Economics.

 

Malala, certamente anche spinta da quell’altra figura incredibile che è suo padre, è diventata qualcosa di più che un’icona della lotta per la parità di genere, è qualcosa di più persino di un’icona per la lotta per il diritto all’istruzione in tutto il mondo: è la voce che si alza contro un mondo che la vuole serva, ignorante, sottomessa, zitta.

                                            

Una voce che dice: no.

È la speranza di tutte quelle ragazze e di tutti quei ragazzi a cui una cultura arretrata, violenta e ingiusta ha strappato via il futuro, gettandoli nel silenzio.

È la promessa che quel silenzio possa essere spezzato.

 

ALCUNI LINK PER APPROFONDIRE:

https://malala.org/malalas-story?sc=header

https://www.ilpost.it/2015/06/17/chi-e-malala-yousafzai/

https://www.youtube.com/watch?v=8hx0ajieM3M

https://www.youtube.com/watch?v=3rNhZu3ttIU

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