La regina dell’ORRORE - Mary Shelley

 

È una notte di metà giugno 1816, siamo a Ginevra, in una villa vicino al lago chiamata Villa Diodati. Una pioggia estiva incessante impedisce di uscire di casa per giorni.

Mary Godwin, suo marito Percy Shelley, Claire Clairmont, il medico John William Polidori e Lord Byron, il poeta maledetto, passano le serate a parlare vicino al camino, illuminati dal fuoco.

Esplorano la loro immaginazione, leggono storie tedesche di fantasmi, discutono delle ultime frontiere della scienza, della politica e della filosofia. Lord Byron qualche giorno prima aveva proposto un gioco: ognuno di loro avrebbe dovuto inventare una storia di fantasmi e avrebbe poi dovuto scriverla e raccontarla agli altri.

Mary ci pensa e ci ripensa in quelle nottate, ma non riesce a farsi venire in mente un’idea. Le storie dell’orrore la catturano, la impressionano, ma in quel momento proprio non trova spunti per crearne una nuova. Così ascolta gli altri e poi, dopo mezzanotte, se ne va a letto.

Nel dormiveglia, tra le due e le tre del mattino, Mary non riesce a prendere sonno del tutto: si rigira nel letto, i pensieri le turbinano nella testa, quando all’improvviso… succede.

La sua immaginazione prende il controllo di lei, Mary comincia a vedere qualcosa. Lo racconterà così nel 1831:

“Vedevo -a occhi chiusi ma con una percezione mentale acuta- il pallido studioso di arti profane inginocchiato accanto alla "cosa" che aveva messo insieme. Vedevo l'orrenda sagoma di un uomo sdraiato, e poi, all'entrata in funzione di qualche potente macchinario, lo vedevo mostrare segni di vita e muoversi di un movimento impacciato, quasi vitale. Una cosa terrificante, perché terrificante sarebbe stato il risultato di un qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo."

La mattina dopo Mary Godwin, conosciuta in società col cognome del compagno, dunque Mary Shelley, comincia a scrivere quello che sarà una delle opere più potenti, influenti, dirompenti della storia della letteratura di ogni tempo: Frankenstein.

 

 

L’INFANZIA

Facciamo un salto indietro e ricominciamo dall’inizio.

Mary Wollstonecraft Godwin nasce a Londra nel 1797 da due genitori fuori dal comune. William Godwin, suo padre, è un filosofo, un giornalista e uno scrittore e sua madre, Mary Wollstonecraft è una filosofa ed educatrice incredibilmente avanti coi tempi, paladina dei diritti delle donne e femminista quando il movimento femminista neanche esisteva.

                 

Purtroppo la madre di Mary poco dopo averla messa al mondo si ammala di febbre purpurea, un’infezione batterica terribile degli organi genitali femminili che può sopraggiungere dopo il paro e, nonostante le cure, muore.

Ad occuparsi della piccola Mary rimane il padre insieme alla sorellastra Fanny Imlay, nata da una precedente relazione della madre.

Ai tempi di padri single che crescevano una figlia non ce n’erano poi molti, ma in qualche modo William riesce a dare un’infanzia felice a Mary, le racconta di sua madre, della sua figura innovatrice e forte, e Mary cresce ammirandola profondamente. William legge tantissimo alla figlia, le fa da insegnante quando è più piccola, poi le trova un tutore privato, recita poesie, la porta in giro e la presenta ai grandi intellettuali che frequentava.

Si racconta di una Mary piccolissima, completamente rapita mentre ascoltava Samuel Taylor Coleridge recitare il suo Rime of the Ancient Mariner.

Dopodiché, un po’ per i debiti economici, un po’ per la pressione sociale e personale, William si risposa e Mary detesta la sua matrigna, irosa e fastidiosa, che faceva preferenze per i propri figli piuttosto che per lei.

Mary a quindici anni è una ragazza caparbia, sfrontate, intelligente, indipendente, curiosa e dalla volontà di ferro.

 

 

L’AMORE

Tra le tante frequentazioni di William Godwin c’è un uomo, un giovane aristocratico ventenne con idee radicali di giustizia sociale: Percy Bysshe Shelley. Rimane colpito dagli scritti e dal pensiero economico di William e gli promette di aiutarlo a ripagare tutti i suoi debiti, per poi dedicarsi insieme a progetti di ridistribuzione economica per gli indigenti.

Quello che non calcola è che le sue posizioni politiche estreme non piacciono alla sua famiglia, quella da cui arrivano i soldi, e così gli vengono tagliati i fondi ed è costretto a mollare William, che si sente tradito nel profondo dal suo pupillo.

 

Ma il punto non è questo. Il punto è che Percy Shelley è giovane, affascinante, attraente, carismatico, impetuoso. Lui ha 21 anni, è sposato ma non parla neanche più con sua moglie. Mary di anni ne ha 16, e quando lo incontra a casa del padre perde la testa. I due cominciano a vedersi di nascosto al cimitero dove è sepolta la mamma di Mary, l’unico posto dove possano stare da soli. Non è il luogo più romantico del mondo, ma è tutto quello che hanno e a loro sta bene così.

Il 26 giugno del 1814, in quello stesso cimitero, Percy dichiara la sua passione per Mary e lei ricambia, travolta. La storia, scabrosa oltre ogni limite per l’epoca, racconta che in quel cimitero Mary perse la sua verginità, quel giorno stesso.

Il padre viene a sapere dello scandalo e cerca di fare ogni cosa perché la reputazione di sua figlia non venga macchiata per sempre: le ordina di troncare la sua relazione con Percy, le proibisce di vederlo, lo bandisce da casa sua per sempre.

 

 

LA FUGA

Neanche un mese più tardi, alla fine del luglio del 1814, Mary e Percy scappano insieme in Francia, portandosi dietro anche Claire, la figlia della matrigna.

Non hanno un soldo e non sanno dove andare, così camminano, cavalcano a dorso d’asino, si fanno dare passaggi fino ad arrivare in Svizzera, mentre continuano a leggere, scrivere, a documentare il loro viaggio di sei settimane e a fare esperienze di ogni tipo.

Arrivano fino a Lucerna. Lì però le cose si fanno difficili sul serio. La vita on the road è divertente per un po’, ma ritrovarsi dall’altra parte dell’Europa senza soldi, senza conoscenze, senza un piano e senza un futuro è un po’ troppo da sopportare. Non solo: Mary è rimasta incinta durante il viaggio e la gravidanza la porta spesso a stare male.

Seguono il fiume Reno fino a un porto olandese e da lì si imbarcano per ritornare finalmente in Inghilterra. Provano a riallacciare i rapporti con William Godwin, il padre di Mary, ma la delusione, lo scandalo, la situazione coi debiti e il tradimento di Percy lo hanno distrutto. Non vuole più avere nulla a che fare con i due, non vuole nemmeno rivedere sua figlia.

Anche Percy è messo male e distratto, è in difficoltà coi creditori, deve nascondersi spesso e lasciare casa sua per evitarli, e per di più gli nasce anche un altro figlio dalla moglie con cui non parlava più.

La relazione è in difficoltà, Percy e Mary credono nell’amore libero e nella coppia aperta ma i flirt di entrambi non migliorano la situazione.

E poi, il 22 Febbraio 1815, Mary partorisce: è una bambina, ed è prematura di due mesi. Dieci giorni più tardi Mary si sveglia nel cuore della notte per allattarla, ma la bambina non respira più, si è addormentata l’ultima volta.

Nella realtà di Mary, nel suo spirito libero e indipendente, si infiltra la depressione più nera, il lutto, l’ossessione persino che la porta ad avere visioni della bambina. Solo una nuova vita riesce a restituirle una parvenza di serenità: rimane incinta di nuovo, alcuni mesi più tardi. Questa volta è un bambino, William.

In quel periodo muore anche il nonno di Percy e gli lascia una sostanziosa eredità: spariscono in un attimo i problemi di debiti e i due ricominciano con una nuova, bella vita, cambiano casa, ricominciano a fare vacanze e viaggi, a scrivere, a frequentare intellettuali.

 

 

IL LAGO

Nel maggio del 1816 decidono di fare un altro viaggio a Ginevra e di passare l’estate con l’amante della sorellastra Claire, quella che era stata in giro per la Francia con loro, che ora è incinta. Incinta di George Gordon Byron. Lord Byron.

E così torniamo da dove siamo partiti, a quel giugno piovoso, alle storie dell’orrore, alle visioni, al gioco, a Frankenstein.

Quell’estate sul lago di Ginevra sarà una svolta definitiva nella vita di Mary Shelley. Di quei momenti dirà: “è stato quando sono uscita dall’infanzia e sono entrata nella vita.”

Dopo aver sentito l’abbozzo di trama pensato la notte precedente da Mary, Percy Shelley è folgorato, si rende subito conto della grandiosità di quell’idea, insiste perché lei trasformi quella storia breve in un romanzo completo e le si siede accanto per aiutarla a dare forma a quell’idea, per fare da editor, da consigliere.

C’è chi addirittura vocifera che possa essere stato lui a scrivere il libro o ad avere l’idea, ma Mary si oppone fermamente a questa diceria, pur riconoscendo il valore dell’aiuto del compagno.

“Certamente non devo a mio marito la suggestione di un incidente o a malapena di una successione di sensazioni, eppure se non fosse stato per il suo incoraggiamento, non avrebbe preso la forma con cui è stato presentato al mondo.”

 

Due anni più tardi, nel 1818, viene pubblicato in forma anonima Frankestein o il moderno Prometeo. Il nome di Mary non compare da nessuna parte, anzi: si parla di un autore uomo e la dedica a William Godwin punta verso Percy Shelley, il suo discepolo che, dopo averlo tradito, omaggia il suo mentore. Almeno così pensa la gente.

Ma è Mary la mente, la penna e l’anima dietro ad ogni pagina, ad ogni parola, ad ogni lettera.

È come se tutta la vita, le esperienze, le suggestioni, le passioni, gli studi, le letture, i pensieri di Mary avessero plasmato qualcosa che vive ormai di vita propria. Il desiderio di indipendenza, il rapporto conflittuale col padre e con le proprie origini, la fuga, il viaggio, la morte, la scienza, la poesia, il lutto, il femminismo, l’impegno politico e sociale, il sesso, tutto si fonde in un calderone creativo ribollente, nella tempesta perfetta che porta al lampo e al tuono di uno dei momenti più importanti nella storia della letteratura moderna.

 

Frankenstein è un romanzo perfetto, è forse l’apice, la vetta massima del romanzo gotico e al tempo stesso precursore di temi fantascientifici, fantastici, orrorifici ma anche bioetici, tecnologici, filosofici che hanno influenzato generazioni e generazioni di autori e pensatori e sconvolto per sempre l’immaginario collettivo.

Non vi offenderò raccontandovi la sua trama, se per qualche disgrazia della vostra vita non lo aveste letto chiudete immediatamente questo articolo e preparatevi a vivere un’avventura che vi cambierà.

Eppure, le critiche dei contemporanei di Mary sono negative, stroncanti. Frankenstein non insegna nulla, non dà indicazioni morali, non è altro che una storiella d’azione secondo i critici inglesi.

Ottusi.

Checché ne dicano i critici, però, il romanzo è fin da subito un successo di pubblico straordinario, un best seller come se ne erano visti pochi.

Nel 1831 esce una seconda edizione rivista e migliorata, e finalmente Mary Shelley si rivela come autrice. Una ragazza giovanissima. I critici, a quel punto, rimangono senza parole.

 

 

LA VITA DI MARY

Dopo l’estate del 1816 Mary ritorna in Inghilterra e la sua vita strana e travagliata di segreti, scandali e problemi continua. Lei viaggia spesso, poi scappa di nuovo all’estero per i debiti di Percy, poi torna, poi se ne va, mentre l’unica costante per lei rimane la scrittura, che è sempre di più il suo lavoro a tempo pieno.

Lei e Percy cercano di nascondere la gravidanza di Claire e il suo affaire con Lord Byron, poi la sorellastra Fanny si suicida, così come anche la moglie di Percy, annegatasi in un lago di Hyde Park, a Londra. Anche queste due morti verranno nascoste.

Poi Mary rimane incinta di nuovo, lei e Percy finalmente si sposano e con il matrimonio risanano anche il rapporto con i Godwin. William rivede finalmente sua figlia.

Il lutto continua a perseguitarla: perderà altri due figli, William e Clara, e poi Percy nel luglio del 1822 morirà a seguito di un incidente in barca per il maltempo.

 

Oltre a Frankenstein, Mary pubblica anche il resoconto del viaggio del 1814, La storia di un viaggio di sei settimane, scrive Matilda, il romanzo storico Valperga, dei testi teatrali, e poi un altro romanzo leggendario, L’ultimo uomo, capostipite del genere del romanzo apocalittico fantascientifico, dove figura lo sterminio dell’umanità a causa di un’epidemia di peste. E poi mille altre cose, mille altri progetti.

Il primo febbraio 1851 a 53 anni Mary si spegne, probabilmente per un tumore al cervello.

Nonostante le infinite tragedie, la maggior parte delle quali ho lasciato fuori da questo racconto, e nonostante la malattia negli ultimi anni, Mary non ha mai smesso di scrivere, di inventare, di immaginare. La forza della sua voce di scrittrice è dirompente, dissacrante, moderna nel senso più importante del termine, nelle tematiche, nello sguardo.

Mary Shelley ha impresso la sua visione sul mondo, ha lasciato dietro di sé e davanti a sé una voce che non invecchia, che non perde di importanza, che non vacilla. Che non muore.

 

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